A ridosso delle festività natalizie, cercano un operatore ecologico. Qualcuno che carichi e scarichi i rifiuti e divida i materiali.
Ne hanno una tale urgenza da non voler usufruire del servizio di preselezione del Centro per l’Impiego: è sufficiente che il portale della Regione dia visibilità al loro annuncio. Ma dal Centro stesso mi fanno sapere che i tempi di pubblicazione sono lunghi, e che il sito va spesso in crash.
E va bene, è la burocrazia. E la legge. Da operatrice delle politiche attive non posso intermediare direttamente domanda e offerta di lavoro, ma solo segnalare le opportunità occupazionali che transitano per i portali per l’impiego regionali. Solo che stavolta la vacancy l’ho raccolta io, e pure il matching potrei fare.
Sento la responsabilità dell’azienda che mi chiede, alla Vigilia, “Non ci abbandonare”. Forse perché si aspettano che sotto le feste gli uffici pubblici chiudano, che sì, insomma: io la vacancy l’ho raccolta, se e quando verrà pubblicata, qualcuno si candiderà. Forse pensano che io, il mio, l’abbia fatto.
È una delle sensazioni più meravigliose che abbia mai provato, quella di poter offrire l’opportunità di una candidatura, di un colloquio, a chi è in cerca di occupazione. Non mi interessa che l’annuncio non sia stato ancora pubblicato: scorro i codici professionali dell’utenza che ho in carico, ne vado a studiare il profilo e le caratteristiche, e lo trovo.
Lui è quasi un coetaneo e la maggiore attinenza con la vacancy è l’aver passato tanti anni a caricarsi i bagagli in hotel di lusso. Non dovrei contattarlo, è la burocrazia: non dovrei chiamarlo in assenza di annuncio, non dovrei chiamarlo per il diverso profilo professionale.
Siamo a Natale e il mio contratto di collaborazione scadrà il 31/12. Sto per perdere il mio lavoro e mi ricordo del colloquio con Lui, che non avrebbe voluto passare le festività da disoccupato. E poco importa che la divisa di un facchino sia più lucente di quella di un operatore ecologico, poco importa la burocrazia: lo chiamo.
Lui e l’azienda entrano formalmente in contatto solo dopo la pubblicazione dell’annuncio: è la burocrazia. Ma il suo curriculum era pronto e la sua dedizione, pure. I fitti scambi di e-mail non bastano e mi chiede di lasciare anche un recapito telefonico. “Tienimi aggiornata, fammi sapere se avrai qualsiasi problema”, gli dico quando sta per presentarsi a colloquio. E mi sento rispondere che l’unico problema è che non voglio lasciargli il mio numero.
Mancano una manciata di ore alla scadenza del mio contratto. No, Lui: il numero non te lo lascio, perché potresti trovarlo disattivato alla prima telefonata. Come dirti che il tuo regalo di Natale è proprio quello che sto per perdere?
È quasi capodanno. Ricevo un'e-mail alle 15:01, è l’azienda. Sono fuori casa, li richiamo nell’arco di un minuto: “Con Lui tutto bene, si è presentato a colloquio, vuole il lavoro.”
E voi, lo volete?
Non penso nemmeno più che tra poco sarò disoccupata, voglio solo che l’azienda trovi Lui e Lui trovi lavoro prima che io perda il mio. Prima che entrambi spariscano dalla mia vista, dalla mia casella e-mail, dalle mie responsabilità.
Firmo la proroga il 30/12: la mia continuità occupazionale dipende dalla Regione. Se in affanno con le assunzioni, vi collaborerò per qualche altro mese; se non le servirò, perderò il lavoro da un giorno all’altro.
Non è il regalo di Natale che avrei desiderato per me: lo vivo più come una calza di carbone recapitatami in anticipo sulle feste, perché sono stata una lavoratrice cattiva.
È il 4 gennaio. Ieri, Lui mi scrive: ha firmato il contratto.
Forse è per questo che entrambi ne abbiamo ancora uno, anche se solo per qualche altro mese: per non perderci, e perché in realtà lo abbiamo sempre meritato.
E non ditelo a Lui, ma io so già che il suo verrà rinnovato.
Accantono l’amarezza della calza col carbone: il suo contratto è il mio regalo di Natale.
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